L’IRCCS Sant’Orsola ha partecipato ad uno studio internazionale incentrato sul comportamento e sull’ambiente che circonda le cellule tumorali e immunitarie nelle pazienti affette da cancro alla mammella triplo negativo. I risultati dell’analisi, condotta su 660 campioni, sono stati pubblicati dalla prestigiosa rivista "Nature".
Da oncologi ad “architetti” per capire come si comportano le cellule a seconda della loro disposizione spaziale, del loro modo di interagire, del loro aspetto e dell’ambiente che le circonda. Gettando così le basi per ottimizzare l’immunoterapia nelle pazienti affette da cancro alla mammella triplo negativo, uno dei più aggressivi tra i tumori del seno. È l’obiettivo di uno studio che ha coinvolto l’Oncologia Medica senologica e ginecologica dell’IRCCS Sant’Orsola diretta dal professor Claudio Zamagni insieme ad altre decine di istituti italiani e internazionali, a partire dal Cancer Research UK Cambridge Institute.
Grazie a 660 campioni di tessuto tumorale raccolti nell’ambito di uno studio sostenuto dalla fondazione Michelangelo (NeoTRIP), gli esperti hanno studiato nello specifico l’architettura del microambiente tumorale sottoposto a chemioimmunoterapia. “Un’architettura dinamica, che cambia continuamente in funzione di come le cellule tumorali e le cellule del sistema immunitario “ballano” tra di loro, di come sono vestite, di che tipo di musica viene suonato”, specifica Zamagni. Fuor di metafora si tratta di dinamiche cruciali, dal momento che la disposizione spaziale, la modalità di interazione, l’aspetto che assumono e l’ambiente circostante influenzano l’espressione dei geni delle cellule. E che, proprio a partire da quali geni vengono espressi, “siamo in grado di prevedere quali pazienti traggono il maggior beneficio dall’immunoterapia e quali no”.
Il cancro alla mammella triplo negativo in Italia colpisce in media 8.000 donne ogni anno e, stando ai dati dell’Associazione italiana registri tumori (AIRTUM), rappresenta circa il 15% del totale dei tumori al seno. Rispetto alle altre neoplasie della mammella, si distingue per la mancata espressione di tre proteine da parte delle sue cellule. Non è un dettaglio di poco conto: le terapie a bersaglio molecolare, che rappresentano in termini generali uno dei trattamenti più comuni per il tumore al seno, utilizzano proprio quelle proteine come target. Fino a poco tempo fa, dunque, le opzioni terapeutiche per il cancro alla mammella triplo negativo si limitavano alla sola chemioterapia.
“Negli ultimi anni, però, l’immunoterapia ha rivoluzionato il trattamento per molti tipi di tumore ed è stata introdotta anche nel cancro alla mammella triplo negativo – spiega Claudio Zamagni – In questo tipo di neoplasie, infatti, la somministrazione di farmaci che attivano il sistema immunitario stimolandolo ad agire contro le cellule tumorali ha dimostrato di essere vantaggiosa sia in fase precoce che metastatica”. Purtroppo, però, non funziona sempre: “Alcune pazienti mostrano infatti meccanismi di resistenza all’immunoterapia”.
Ed è proprio qui che si manifesta il valore dello studio. “Fino ad ora le ricerche condotte in quest’ambito avevano analizzato unicamente la quantità di cellule immunitarie all’interno del tumore prima e dopo la chemioimmunoterapia: i TILs (linfociti infiltranti il tumore)”. L’articolo pubblicato su Nature si spinge oltre: esaminando i campioni di tessuto tumorale raccolti prima, durante e dopo la terapia, i ricercatori hanno infatti studiato la disposizione delle cellule e i suoi effetti mediante le tecniche di trascrittomica spaziale – che consentono di ottenere i dati di espressione genica associati alla localizzazione delle cellule. Il tutto, con un obiettivo ben preciso: identificare i fattori che, in futuro, potrebbero aiutare a selezionare le pazienti con il cancro alla mammella triplo negativo potenzialmente più predisposte a beneficiare dell’immunoterapia e a definire strategie di superamento della resistenza alla terapia
“Per realizzare questo tipo di studi è fondamentale poter contare su una Breast Unit di livello internazionale. Per poter adottare l’approccio neoadiuvante – una strategia che prevede la somministrazione prima dell’intervento chirurgico di rimozione della massa tumorale - in fase precoce è infatti necessaria la collaborazione di un team multidisciplinare”. La Breast Unit del Sant’Orsola è un centro d’eccellenza in questo senso (come dimostra anche il gran numero di studi clinici condotti) ed è composta dagli specialisti della Chirurgia della Mammella, del Centro Mammografico, della Radioterapia Oncologica e dalla struttura di Patologia della Mammella, oltre che dalla stessa Oncologia Medica senologica e ginecologica diretta da Zamagni (che è anche responsabile clinico della Breast Unit).
Ma un progetto di ricerca così complesso richiede anche una nutrita collaborazione internazionale. “Soprattutto dal punto di vista della tecnologia – prosegue Zamagni – si tratta di uno studio che richiede analisi di laboratorio estremamente sofisticate. Ad esempio la citometria di massa per immagini, eseguita presso il Cancer Research UK Cambridge Institute”.