È un'infezione del fegato causata dal virus dell’epatite C (HCV) che, se cronicizza, può evolvere in un quadro di cirrosi epatica.
Nella fase acuta della malattia il decorso clinico è in genere lieve ed associato a sintomi generici che vanno dalla facile faticabilità alla perdita di peso e dell'appetito, ma che possono includere anche nausea, dolore addominale ed ittero (colorazione giallastra della pelle). Gli esami di laboratorio spesso documentano un rialzo delle transaminasi, enzimi che svolgono un ruolo cruciale nel processo di smaltimento e trasformazione degli amminoacidi in eccesso. Proprio il carattere aspecifico delle manifestazioni cliniche a volte porta a diagnosticare tardivamente la patologia, permettendole di cronicizzarsi e di determinare un quadro di cirrosi epatica.
L’infezione si trasmette attraverso il contatto diretto con sangue infetto. Tra le popolazioni più a rischio rientrano i soggetti che fanno uso di droghe per via endovenosa (scambio di siringhe) e gli operatori sanitari. Il virus può essere trasmesso anche dalla madre al figlio durante la gravidanza o nel corso di rapporti sessuali non protetti, o attraverso lo scambio di oggetti infetti (ossia entrati in contatto con il sangue del paziente, come possono essere le forbicine o i rasoi).
La diagnosi si basa su esami di laboratorio microbiologici che comprendono la ricerca di anticorpi anti-HCV nel sangue e l’analisi del genoma virale (HCV-RNA).
La terapia antivirale viene valutata in base alle caratteristiche cliniche del paziente, ai risultati degli esami di laboratorio e al genotipo del virus. Attualmente la maggior parte dei pazienti è candidabile a terapia con i nuovi farmaci antivirali ad azione diretta. In caso di evoluzione a cirrosi epatica il paziente dovrà essere sottoposto alla sorveglianza prevista per tutti i pazienti appartenenti a tale categoria.
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