Linfonodo sentinella per il tumore ovarico: i dati incoraggianti dello studio Selly

13 Febbraio 2024

L’IRCCS ha partecipato ad una ricerca multicentrica promossa dal Policlinico Universitario Gemelli di Roma. Il metodo, che deve ancora essere affinato, ha dimostrato di essere attendibile nel 73% dei casi. I risultati pubblicati sull’European Journal of Cancer.

La tecnica del linfonodo sentinella è una procedura poco invasiva che consente di stabilire se un tumore ha iniziato o meno a metastatizzare (cioè a diffondersi nel corpo) attraverso una semplice biopsia. Viene già adottata come tecnica di riferimento nell’iter diagnostico di stadiazione di diverse neoplasie, dal tumore della mammella a quello della vulva e dell’endometrio, mentre non trova ancora indicazione per il carcinoma ovarico. Al momento, per le pazienti affette da questo tipo di carcinoma, l’unica possibilità per ricercare eventuali metastasi linfonodali risiede nella rimozione di numerosi linfonodi addominali: una tecnica che, però, è decisamente più impattante e meno precisa.

Fino ad ora la possibilità di identificare il linfonodo sentinella nel carcinoma ovarico in stadio iniziale era stata dimostrata solo in piccoli studi prospettici. Il progetto di ricerca “Selly” rappresenta invece il più ampio mai realizzato per valutare la fattibilità, il tasso di rilevamento e l’accuratezza diagnostica della procedura. Nel dettaglio, i sette centri partecipanti hanno arruolato 169 pazienti con presunto carcinoma ovarico in stadio iniziale (stadio I-II). Queste pazienti hanno ricevuto l’iniezione di verde di indocianina per l’identificazione del linfonodo sentinella, seguita dalla rimozione completa dei linfonodi (linfoadenectomia pelvica e para-aortica come di consueto). Tutti i linfonodi sono stati esaminati con test patologici standard, ad eccezione del linfonodo sentinella, che è stato analizzato in modo più approfondito attraverso l’ultra-staging per individuare micrometastasi.

Risultato? La procedura ha correttamente identificato il linfonodo sentinella in 99 pazienti su 169 (58,6% dei casi). In totale le metastasi linfonodali sono state individuate in 20 casi: in 15 pazienti il linfonodo sentinella è stato mappato con successo, mentre in 5 casi la procedura è fallita. In 11 di questi 15 casi (73,3%) la malattia è stata correttamente identificata nel linfonodo sentinella: di questi ultimi, 4 presentavano metastasi evidenti, mentre per i restanti 7 (63,6%) è stato necessario ricorrere al protocollo di ultra-staging.

Come vanno interpretati questi risultati? “Si tratta di dati incoraggianti – commenta Myriam Perrone, dottoressa dell’UO di Ginecologia Oncologica diretta dal Professor Pierandrea De Iaco – nel 35% dei casi la malattia è stata identificata soltanto grazie al protocollo di ultra-staging, un analisi immunoistochimica molto particolareggiata che, proprio per la sua complessità, può essere eseguita su pochi linfonodi campione”. Asportando tutti i linfonodi, come si fa di solito, non sarebbe stato possibile individuare queste micrometastasi, ritrovate soltanto applicando una metodica innovativa che combina linfonodo sentinella e ultrastaging.

“Bisogna riconoscere che la tecnica va ulteriormente affinata – aggiunge però Perrone – in quanto presenta ancora percentuali troppo elevate di fallimento (in almeno un caso su quattro la biopsia non sarebbe riuscita a identificare le metastasi presenti). Per poter essere utilizzata anche nel tumore ovarico dobbiamo alzare la sensibilità di questa tecnica”.

Come è noto, il carcinoma ovarico è un tumore molto aggressivo che spesso viene scoperto solo in fase avanzata. Trovare un metodo per stadiarlo correttamente anche nelle sue fasi iniziali rappresenterebbe dunque “un risultato molto importante, perché permetterebbe di aprire la strada a terapie mirate”. Proprio per questo motivo, i ricercatori stanno valutando di proseguire la ricerca per superare le criticità riscontrate.