Operazione Radium: il salvataggio del "tesoro" del Sant'Orsola

25 Aprile 2023

In occasione del 25 aprile, ripercorriamo un capitolo della Resistenza bolognese che coinvolge da vicino il Policlinico

Mezzo chilo di materiale radioattivo trasportato a bordo di una bicicletta e seppellito per lunghi mesi sotto il pavimento di una cantina. Giorni e giorni di trattative “snervanti”, trascorsi tra prudenze, tentennamenti e sospetti tradimenti. E poi elaborati piani di fuga in montagna, in Svizzera o addirittura via mare, attraverso un mezzo subacqueo.

A leggerla così sembra la trama di un film d’azione, eppure non c’è proprio nulla di romanzato. Perché questa è semplicemente la storia – ben studiata dagli addetti ai lavori, ma forse non così nota al grande pubblico - dell’Operazione Radium. Ossia del rocambolesco piano che nell’estate del 1944, grazie all’impegno di medici e partigiani, ha permesso di salvare dalle mire dell’esercito tedesco una parte delle scorte di radio dell’Ospedale Sant’Orsola.

All’epoca il radio, o radium, rappresenta un bene decisamente prezioso. La sostanza, di primaria importanza per le cure antitumorali, è infatti particolarmente ricercata dagli scienziati del Terzo Reich, probabilmente per la fabbricazione di nuove armi (almeno stando alla versione più accreditata). Secondo le testimonianze degli stessi protagonisti dell’operazione, i quantitativi custoditi negli istituti di cura dell’Italia  centrale sono già stati requisiti e spediti in Germania proprio per questo motivo. E alla stessa sorte sembra destinata anche la dotazione dell’Istituto del radio “Luigi Galvani” dell’Ospedale Sant’Orsola, una delle più significative di tutt’Italia. Nella cassaforte dell’ente, ben schermato da enormi strati di piombo, si trova un grammo abbondante di radio, pari a un valore stimato di oltre 100 milioni di lire dell’epoca.

Venuto a conoscenza dei piani tedeschi, l’esecutivo del Partito d’Azione decide quindi di agire d’anticipo. Con l’approvazione del Comitato di Liberazione Nazionale dell’Emilia-Romagna, i partigiani (su tutti Mario Bastia e il medico chirurgo Filippo D’Ajutolo) prendono contatto con i medici del Sant’Orsola per organizzare il piano. Non è una trattativa semplice, anzi. Anzitutto perché bisogna pensare a come mettere al riparo i responsabili dell’Istituto (in particolare il direttore Giovanni Giuseppe Palmieri e i suoi famigliari) dalla prevedibile rappresaglia nazista: vengono prese in considerazione varie opzioni, dall’esilio in montagna allo sconfinamento in Svizzera, passando per l’attraversamento delle linee nemiche via mare attraverso un mezzo subacqueo. E poi perché il tutto si svolge nel clima di tensione e sospetto che in questi mesi contraddistingue la quotidianità bolognese: proprio sul più bello, ad esempio, il piano rischia seriamente di naufragare per i dubbi covati da Palmieri e dai suoi collaboratori circa l’effettiva appartenenza di Bastia al movimento partigiano, poi confermata all’ultimo momento grazie al fortuito incontro di un’amicizia comune.

Prudenze ed esitazioni, però, costano tempo prezioso. Nella prima metà di luglio, i tedeschi bussano effettivamente alla porta del Sant’Orsola:

“Mentre più fremevano i preparativi per sistemare le varie fasi del nostro ‘colpo’ – scrive in una memoria lo stesso professor Palmieri – vennero all’improvviso i tedeschi, con un’automobile armata di mitragliatrice, a prendersi la parte di radio requisita, cioè la metà della nostra intera dotazione”.

Dopo ulteriori pressioni da parte dei partigiani, si passa quindi all’azione per salvare almeno la restante metà della scorta: verso fine mese il direttore (il cui figlio, lo studente di medicina Gianni Palmieri, morirà pochi mesi dopo come sanitario tra le fila dei partigiani meritando la Medaglia d’oro al valor militare alla memoria) si reca a Villa Torri con il prezioso materiale sotto braccio.

“Io ero andato sulle 5 del pomeriggio all’Istituto per asportare il radio e le rispettive guaine d’oro platinato il tutto già chiuso in appositi scrigni di piombo e in una scatoletta di latta, nascondendo provvisoriamente ogni cosa, sia pure a fatica, entro una comune busta di pelle per carte”

Una volta consegnato il tutto a Bastia, Palmieri viene portato al sicuro nella Firenze da poco liberata. La preziosa scatoletta (oggi conservata all’Istituto Parri) finisce invece nell’abitazione di D’Ajutolo, in via San Vitale, nel cui scantinato viene infine seppellito il radio a distanza di pochi giorni. Un nascondiglio efficace, a tal punto da restare celato perfino durante le approfondite perquisizioni che l’appartamento subisce nei mesi successivi. Ma se il radio è momentaneamente in salvo, lo stesso non si può dire dei partigiani che partecipano all’azione. Tra settembre e ottobre in diversi vengono arrestati o uccisi per mano dei nazifascisti: lo stesso Bastia perde la vita in quella che passa alla storia come la “battaglia dell’Università”.

D’Ajutolo riesce invece a fuggire. Ed è proprio lui, dopo la Liberazione, a contattare le autorità e ad organizzare una cerimonia pubblica di disseppellimento e restituzione del radio. L’8 maggio 1945 il prezioso materiale torna infatti al Sant’Orsola “ben scortato da numerosi agenti di polizia”. La metà requisita verrà invece recuperata in Germania dall’esercito americano e riconsegnata pochi anni più tardi alla città.

“E così ebbe termine quello che viene chiamato l’episodio del radium. Ma quella giornata, in cui era stata portata felicemente a termine un’impresa effettivamente tanto rischiosa, era per noi superstiti velata da una grande tristezza: mancavano, a partecipare al giubilo generale, i nostri compagni scomparsi del Comitato clandestino del  partito d’azione: Mario Bastia, caduto eroicamente insieme con i suoi partigiani il 20 ottobre 1944; Massenzio Masia, Armando Quadri, Luigi Zoboli, condannati a morte e fucilati dopo inenarrabili torture, durante le quali seppero sempre tacere e non tradire nessun segreto, neppure quello del radium la cui rivelazione avrebbe forte potuto mutare la loro sorte”. F. D’Ajutolo