La cistectomia radicale è un intervento chirurgico che prevede la rimozione della vescica e di diversi altri organi pelvici vicini. Negli uomini, infatti, l’operazione comporta anche la rimozione della prostata, delle vescicole seminali, dei dotti deferenti, mentre nelle donne vengono estratti utero, annessi uterini e parete anteriore della vagina.
Sia nei pazienti di sesso maschile che nelle pazienti di sesso femminile, poi, possono essere asportati anche alcuni dei linfonodi loco regionali.
Nel corso degli anni le innovazioni tecnologiche e, più in generale, il progresso in campo medico hanno permesso di sviluppare diverse tecniche per portare a termine questa operazione.
• Cistectomia radicale a cielo aperto (o laparotomica). Si tratta della via più tradizionale e, oggigiorno, meno utilizzata, in quanto particolarmente invasiva. In questo caso, infatti, l’asportazione degli organi pelvici viene portata a termine aprendo un’incisione di diversi centimetri nell’addome. Attraverso questa apertura i chirurghi operano direttamente sulla vescica e sulle strutture vicine.
• Cistectomia radicale laparoscopica. A differenza della chirurgia laparotomica, l’approccio laparoscopico non prevede l’apertura di un’unica grande incisione, ma bensì la creazione di fori di più piccole dimensioni (sempre a livello dell’addome) attraverso cui i medici infilano i propri strumenti. L’intervento viene quindi portato a termine grazie all’ausilio di uno strumento ottico flessibile dotato di luce e telecamera. Grazie a questo dispositivo, che è collegato ad un monitor presente in sala operatoria, i chirurghi possono procedere alla rimozione degli organi.
• Cistectomia radicale robotica. Questa tecnica segue lo stesso principio della procedura laparoscopica: gli strumenti necessari all’operazione, in altre parole, vengono sempre inseriti nel corpo del paziente attraverso piccole incisioni aperte sull’addome. A differenza di quest’ultima, tuttavia, l’operazione viene portata a termine grazie all’ausilio di bracci robotici, controllati dai chirurghi tramite un’apposita consolle, e offre quindi risultati più precisi.
I chirurghi scelgono l’approccio migliore tenendo conto dello stato di salute del paziente e delle caratteristiche della stenosi. In ogni caso, l’operazione viene eseguita in anestesia generale e può avere una durata variabile tra le tre e le sei ore.
All’interno della vescica si accumula l’urina prodotta in continuazione dai reni. Quanto tale serbatoio raggiunge un certo livello di riempimento, l’urina viene quindi espulsa attraverso l’uretra.
La rimozione della vescica e delle strutture ad essa connesse rende quindi necessaria la creazione di una derivazione delle urine. I medici scelgono quale tipo di derivazione impiantare in base a numerose variabili cliniche e alla malattia che ha portato all’intervento. Le possibili alternative sono:
• Neovescica ortotopica. In questo caso la vescica viene sostituita da un serbatoio di forma sferica realizzato asportando e adattando un tratto dell’intestino ileale o del colon. Tale neovescica viene collegata all’uretra e agli ureteri, e replica quindi molto da vicino la struttura e le funzioni dell’organo rimosso. Il paziente può infatti urinare per la via naturale (pene o vescica), ma dovrà prendere confidenza con la nuova conformazione delle vie urinarie. Lo stimolo alla minzione, infatti, viene solitamente percepito come sensazione di pienezza o leggero dolore pubico. L’espulsione dell’urina può essere comandata contraendo i muscoli addominali o esercitando una pressione manuale sulla neovescica. Durante i primi mesi può essere necessario svuotare la vescica tramite cateteri.
• Indiana pouch. In alcuni casi non è possibile utilizzare l’uretra naturale del paziente, in quanto compromessa o perché anch’essa oggetto dell’asportazione chirurgica. Per ovviare al problema, viene quindi impiantato un catetere, ossia un condotto che a intervalli regolari permette di svuotare la neovescica.
• Ureteroileocutaneostomia. Anche questa tecnica prevede l’impiego di un tratto dell’ileo, ma di dimensioni più contenute. Il pezzo di intestino, infatti, non viene utilizzato per creare una neovescica come nelle due precedenti metodiche, ma bensì una semplice derivazione. L’urina viene infatti raccolta in un sacchetto posizionato all’esterno del corpo, che può essere svuotato quando necessario attraverso una comoda via d’uscita e che deve essere sostituito a giorni alterni per questioni di igiene.
• Ureterocutaneostomia. Analogamente alla procedura appena descritta, pure l’ureterocutaneotomia viene scelta quando per motivi clinici non è indicata la creazione di una neovescica. I due ureteri del paziente vengono quindi collegati direttamente alla cute, dove l’urina si raccoglie in appositi sacchetti. Anche in questo caso i sacchetti vanno sostituiti periodicamente.
La cistectomia radicale rappresenta il trattamento standard in presenza di tumori infiltranti della vescica. A causa dell’aggressività di queste neoplasie e della possibile diffusione di metastasi, la procedura comporta spesso la rimozione degli organi vicini.
Per prima cosa il paziente viene sottoposto ad una lunga serie di accertamenti (che possono includere esami del sangue e delle urine, elettrocardiogramma, radiografia del torace), in modo da verificare l’idoneità dell’intervento ed escludere controindicazioni.
Durante tali visite, è importante comunicare le terapie in corso, e in particolare l’eventuale assunzione di farmaci antiaggreganti, anticoagulanti e antinfiammatori. In alcuni casi, infatti, i medici possono prescrivere la sospensione o la modifica di tali trattamenti in preparazione all’intervento.
Una volta ultimata l’operazione, il paziente viene ricoverato per alcuni giorni in reparto. Il giorno successivo all’operazione incominciano le attività di progressiva mobilizzazione, assistite dal personale: è importante che il paziente riprenda a camminare o comunque si muova appena possibile, in modo da favorire la ripresa della normale circolazione.
Anche l’alimentazione viene ripresa in maniera graduale nelle 24 ore successiva l’operazione. Se non insorgono complicazioni particolari, la degenza dura all’incirca una decina di giorni.
Malattie correlate
Strutture coinvolte