La Microbiologia dell’IRCCS Policlinico di Sant’Orsola pubblica sull’autorevole “Journal of Clinical Microbiology- rivista medica dell’American Society for Microbiology” il primo studio a livello mondiale dedicato a un nuovo e innovativo test denominato “CMV-RNAemia”, esame proposto come metodo di rilevazione dell’attiva replicazione virale nei pazienti trapiantati.
Il Citomegalovirus (CMV) è un virus estesamente diffuso, appartenente alla famiglia degli Herpesvirus: si stima che circa il 70/80% della popolazione adulta italiana abbia contratto l’infezione nell’arco della vita. Tale statistica non deve generare particolare allarme, dal momento che nella maggior parte dei casi l’infezione decorre in modo asintomatico o si manifesta con sintomi lievi. Al contrario,negli individui immunodepressi, l’attiva replicazione del virus può portare a complicazioni decisamente più gravi. È il caso ad esempio dei pazienti riceventi trapianto che, a causa dell’immunodepressione dovuta ai farmaci antirigetto, devono essere controllati con attenzione attraverso un monitoraggio ematico basato sul test della CMV-DNAemia. Tale test rileva e quantifica il genoma virale nel sangue periferico e permette di individuare i pazienti a rischio di sviluppare malattia da CMV.
La recente introduzione di nuovi farmaci contro il CMV, come il Letermovir e il Maribavir, ha però messo in discussione la corretta interpretazione dei risultatidella CMV-DNAemia.Questi antivirali, che presentano effetti collaterali decisamente più contenuti rispetto ai farmaci convenzionali,hanno infatti un particolare meccanismo d’azione: non inibiscono più la replicazione del genoma virale, ma bloccano piuttosto il processo di assemblaggio del virus. Nel fare ciò, tuttavia, consentono il rilascio di frammenti di DNA del virus nel sangue (infezione abortiva); frammenti che non testimoniano l’attiva replicazione di CMV, ma che vengono comunque rilevati dalla CMV-DNAemia e rischiando così di alterare la corretta interpretazione del test.
È dunque necessario aggiornare l’iter diagnostico. I ricercatori dell’Unità Operativa di Microbiologia dell’IRCCS Policlinico di Sant’Orsola, diretta dalla prof.ssa Tiziana Lazzarotto, in particolare, hanno verificato l’efficacia clinica della CMV-RNAemia UL21.5, test che identifica e quantifica la presenza di una molecola di RNA messaggero prodotta durante la fase di attiva replicazione virale e rapidamente incapsidata nel virione. “In sostanza – spiega la microbiologa Giulia Piccirilli - se il test rileva questa molecola significa che ci sono dei virioni maturi”.
Nel corso dello studio, i ricercatori hanno analizzato 254 campioni di sangue positivi alla CMV-DNAemia, prelevati da 44 pazienti trapiantati. Di questi, 14 pazienti erano stati trattati con farmaci tradizionali, mentre i restanti 30 con Letermovir. “In particolare – continua Piccirilli, abbiamo confrontato i risultati ottenuti dalla CMV-DNAemia con quelli del nuovo test CMV-RNAemia: nel 40% dei casi abbiamo ottenuto un risultato concordante, mentre nel restante 60% dei casi i due test hanno mostrato dati discordanti (positivi solo per la CMV-DNAemia)”.
Questi ultimi riguardavano nella maggior parte dei casi, campioni prelevati da pazientiin profilassi o terapia con Letermovir, nei quali i livelli di CMV-DNAemia risultavano molto bassi.La ricerca di particelle virali infettanti in questi campioni, mediante isolamento virale in colture cellulari, ha dato esito negativo. “Secondo la nostra interpretazione, questi dati sono imputabili a una replicazione abortiva del virus, cioè alla presenza di genoma virale libero che viene rilasciato in circolo per la morte delle cellule infettate, ma che non corrisponde alla presenza di particelle virali infettanti”. Ne consegue che l’esecuzione della CMV-RNAemia consentirebbe di individuare i soli casi di replicazione attiva del virus e di escludere i casi di CMV-DNAemia “falsi positivi”.
“Non solo: con il test della CMV-RNAemia vediamo precocementei risultati di negatività, e quindi di efficace eliminazione del virus molto prima rispetto alla sola CMV-DNAemia. In futuro l’utilizzo combinato di entrambi i test potrebbe quindi accorciare la durata del trattamento antivirale”.