L’IRCCS Sant’Orsola e il Policlinico Gemelli pubblicano sul prestigioso "International Journal of Gynecological Cancer" un articolo dedicato ai fattori predittivi di fallimento del linfonodo sentinella per carcinoma dell’endometrio
La tecnica del linfonodo sentinella è una procedura che consente di verificare se un tumore ha iniziato a diffondersi verso altri organi. Per comprenderla a fondo si deve velocemente ripassare il funzionamento del sistema linfatico, cioè di quell’articolata rete di vasi che raccoglie i fluidi presenti nei tessuti e li cede al sistema circolatorio. I linfonodi rappresentano di fatto le stazioni della rete: prima di diffondersi nel resto del corpo, infatti, il materiale in arrivo dai tessuti passa attraverso questi check point. E ciò vale anche per le cellule tumorali.
Per stabilire se una neoplasia (in questo caso: un carcinoma dell’endometrio) ha iniziato o meno a diffondersi ad altri organi, è dunque utile analizzare i linfonodi. In particolare, la prima stazione linfonodale di drenaggio dell’utero: il linfonodo sentinella, per l’appunto. Se in tale “snodo” non vengono individuate cellule tumorali, allora è altamente probabile che il carcinoma sia ancora localizzato a livello genitale.
La tecnica del linfonodo sentinella consente proprio di individuare la prima stazione linfonodale attraverso un’iniezione endocervicale di verde di indocianina. Entrando in circolo nel sistema linfatico il colorante permette di mappare il linfonodo sentinella, che può essere poi facilmente rimosso e analizzato. Ma è proprio qui che scatta l’inghippo: nel 20-25% dei casi, infatti, la tecnica fallisce nell’evidenziare la prima stazione linfonodale da asportare. A quel punto, per ottenere la stadiazione patologica necessaria a guidare le cure successive alla chirurgia, si deve quindi eseguire una linfoadenectomia pelvica sistematica. Una tecnica che, però, è di gran lunga più invasiva.
Nell’articolo pubblicato sulla prestigiosa rivista “International Journal of Gynecological Cancer”, il gruppo di ricerca guidato dai professori Renato Seracchioli (direttore dell'Unità Operativa di Ginecologia e Fisiopatologia della Riproduzione Umana dell’IRCCS Sant’Orsola) e Giovanni Scambia (UOC Ginecologia Oncologica del Gemelli) ha quindi messo in luce i fattori che più frequentemente sono associati al fallimento della tecnica: l’invasione neoplastica linfonodale all’esame istologico, la presenza di linfonodi bulky (linfonodi macroscopicamente ingranditi) e l’utilizzo di un volume di verde del colorante indocianina inferiore a tre millilitri. «Conoscere in anticipo le probabilità di fallimento della tecnica è fondamentale per informare correttamente le pazienti e operare la scelta più corretta», spiega in questo senso il ricercatore del Sant’Orsola Diego Raimondo.
Poche settimane fa gli autori della pubblicazione hanno inoltre ricevuto da parte del Comitato Editoriale del giornale il premio di “Lead article” e sono stati invitati a presentare il loro lavoro nel podcast e nel journal club gestiti dal professor Pedro Ramirez (Editor-in-Chief della rivista e Direttore dell’UO di Ginecologia ed Ostetricia dell' Houston Methodist Hospital, USA) e dalle società europea e quella internazionale di ginecologia oncologica (European Society of Gynaecological Oncology - ESGO e International Gynecologic Cancer Society - IGCS).