Si tratta di una malformazione congenita caratterizzata dallo sviluppo anomalo delle strutture cardiache. In particolare, la sindrome comporta un ridotto sviluppo del ventricolo sinistro, dell’aorta e dell’arco aortico, oltre all’atresia o alla stenosi della valvola mitrale
Il cuore sinistro ipoplasico rappresenta una delle cardiopatie più gravi che esistano e, se non viene trattata per tempo, è incompatibile con la vita. I neonati che ne sono affetti nascono di solito a termine di gravidanza e inizialmente appaiono sani.
Questa condizione di tranquillità, tuttavia, dura poche ore: non appena il dotto arterioso di Botallo (un condotto che durante la vita fetale garantisce un flusso di sangue tra l’arco aortico e l’arteria polmonare) si chiude, la perfusione sistemica diminuisce portando ad ipossiemia, acidosi e shock cardiogenico.
La malformazione ha origine da un difetto embrionario. Le cause che determinano questo fenomeno, tuttavia, non sono ancora state individuate con certezza.
La diagnosi prenatale assume un’importanza fondamentale per la prognosi del neonato. Attraverso un’ecocardiografia fetale è possibile individuare l’anomalia tra la 18esima e a 20esima settimana di gestazione. Ulteriori indagini di approfondimento possono essere eseguite con una radiografia del torace e con ECG.
In un primo momento la terapia è finalizzata ad assicurare un flusso al circolo sistemico, e consiste nella somministrazione di prostaglandine per mantenere aperto il dotto di Botallo. Successivamente si procede con un intervento di palliazione chirurgica alla nascita.
Per la correzione “definitiva” sono possibili due modalità di intervento: il trapianto cardiaco primitivo o, in alternativa, una serie di interventi palliativi. Anche se le possibilità di sopravvivenza dopo l’intervento chirurgico sono nettamente migliorate negli ultimi 20 anni, queste due strategie chirurgiche si associano a una significativa percentuale di mortalità e morbilità.
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