Giornata mondiale delle Malattie Infiammatorie Croniche Intestinali

19 Maggio 2023

Come il morbo di Crohn può alterare strutture e funzioni cerebrali.

Individuate per la prima volta alterazioni a livello cerebrale che si manifestano in modo diverso quando la malattia è nella sua fase attiva rispetto ai periodi di quiescenza. Un passo in avanti per comprendere la connessione tra l’infiammazione intestinale e le caratteristiche morfologiche e funzionali del cervello

Nel cervello dei pazienti affetti dal morbo di Crohn ci sono alterazioni strutturali e funzionali che interessano sia le reti neurali implicate nel movimento e nel linguaggio, sia quelle che elaborano stimoli emotivi e cognitivi. Non solo: queste alterazioni cerebrali si manifestano in modo diverso quando la malattia è nella sua fase attiva rispetto ai periodi di quiescenza.

A mostrarlo per la prima volta – a pochi giorni dal 19 maggio, giornata mondiale delle MICI, le Malattie Infiammatorie Croniche Intestinali – è uno studio guidato da ricercatori dell’Università di Bologna e dell’IRCCS Azienda Ospedaliero-Universitaria di Bologna - Policlinico di Sant'Orsola, pubblicato sulla rivista Inflammatory Bowel Diseases. I risultati ottenuti potrebbero rivelarsi utili sia per monitorare l’evoluzione della malattia che per individuare nuovi target terapeutici.

"Arrivare a comprendere i meccanismi che collegano il morbo di Crohn con l'attività cerebrale può aprire la strada a nuovi approcci terapeutici per proteggere le funzioni e strutture cerebrali dei pazienti e quindi consentire loro una migliore qualità di vita", spiega Alessandro Agostini, professore al Dipartimento di Scienze Mediche e Chirurgiche, primo autore dello studio. "Con questa ricerca siamo riusciti a mettere in luce possibili meccanismi attraverso cui l’infiammazione cronica può coinvolgere il cervello e promuovere la comparsa di fatica, dolore cronico o anche favorire l’insorgenza di sintomi di sofferenza psicologica".

Il morbo di Crohn è una malattia infiammatoria cronica dell’intestino che colpisce circa 50mila pazienti in Italia: un numero in crescita negli ultimi anni. Nei pazienti affetti, la parete intestinale viene interessata da un processo infiammatorio cronico che alterna fasi acute e fasi di quiescenza. L’arrivo della fase di infiammazione acuta è imprevedibile e può avere effetti molto debilitanti, da cui possono nascere anche gravi complicazioni.

Nonostante gli importanti passi avanti nel campo delle terapie mediche e chirurgiche, il morbo di Crohn continua ad avere un forte impatto negativo sulla qualità di vita dei pazienti, ed è associato anche a forti stress psicologici e a casi di ansia e depressione. Inoltre, la patologia può interessare anche altri organi oltre all'intestino, ad esempio la cute, l’occhio, il fegato o le articolazioni.

Studi realizzati in passato hanno mostrato che il cervello dei pazienti affetti dal morbo di Crohn non è colpito direttamente dai processi infiammatori della malattia, ma le strutture e le funzioni cerebrali possono subire delle alterazioni. A confermarlo è anche la presenza di una serie di sintomi come la fatica cronica, il dolore addominale cronico anche in assenza di infiammazione conclamata, e casi di alterazioni emotive e cognitive: tutti elementi che suggeriscono come il cervello sia in qualche modo coinvolto nel processo patologico del morbo di Crohn.

Per approfondire questo aspetto, i ricercatori hanno quindi messo a confronto, attraverso la risonanza magnetica, la struttura e la funzionalità cerebrali di pazienti in cui la malattia era in fase attiva con quella di pazienti in periodo di quiescenza (e con un gruppo di controllo).

Dalla nostra analisi sono emerse per la prima volta differenze a livello cerebrale, sia dal punto di vista morfologico che funzionale, a seconda delle diverse fasi di attività della malattia in cui si trovavano i pazienti”, dice Agostini. “Queste differenze interessano diverse aree del cervello, in particolare la corteccia motoria, la corteccia parietale e alcune porzioni della corteccia cingolata posteriore: risultati che possono essere connessi al senso di affaticamento, ai sintomi tipici della sindrome dell’intestino irritabile e ai disturbi cognitivo-emozionali spesso riportati dai pazienti”.

I risultati ottenuti possono non solo essere utili per monitorare l’evoluzione della malattia e individuare possibili target terapeutici, ma sono anche un passo in avanti per arrivare a comprendere la connessione tra l’infiammazione intestinale e le caratteristiche morfologiche e funzionali del cervello.

Lo studio è stato pubblicato sulla rivista Inflammatory Bowel Diseases con il titolo “Differential Brain Structural and Functional Patterns in Crohn’s Disease Patients are Associated with Different Disease Stages”. Hanno partecipato Alessandro Agostini, Fernando Rizzello e Paolo Gionchetti (Università di Bologna e dell’IRCCS Azienda Ospedaliero-Universitaria di Bologna - Policlinico di Sant'Orsola), insieme a Francesca Benuzzi e Daniela Ballotta (Università di Modena e Reggio Emilia) e Nicola Filippini (IRCSS Ospedale San Camillo di Venezia).