Ossa fragili e trapianto di fegato: c’è un legame nascosto

14 Ottobre 2025

Un team dell'IRCCS Policlinico di Sant’Orsola, in collaborazione con l’Università di Bologna, ha valutato a ritroso la storia clinica e le radiografie dei pazienti con malattie croniche del fegato dimostrando che quasi la metà presentava fratture vertebrali spesso asintomatiche o rilevate solo al momento del trapianto. Pubblicato su Internal and Emergency Medicine, lo studio è la più ampia analisi degli ultimi due decenni e fornisce dati aggiornati e solidi finora mancanti alla comunità scientifica. 

Le malattie croniche del fegato, i principali sintomi e quel legame con osteoporosi e fragilità ossea. Le malattie croniche del fegato possono avere diverse cause: abuso di alcol, infezioni da virus, malattie autoimmuni o metaboliche. Tra queste, la più grave è la cirrosi epatica, una condizione irreversibile in cui il fegato diventa fibrotico e perde gradualmente la sua funzione. Quando il danno è molto avanzato e il fegato non è più in grado di lavorare correttamente, si parla di insufficienza epatica: a quel punto l’unica soluzione possibile è spesso il trapianto di fegato.

Oltre ai sintomi come gonfiore addominale, stanchezza estrema, confusione o ittero, esiste un legame meno noto ma altrettanto importante tra malattie del fegato e fragilità ossea. Chi soffre di cirrosi o insufficienza epatica cronica ha infatti un rischio molto più alto di sviluppare osteoporosi e di andare incontro a fratture da fragilità, cioè rotture delle ossa che si verificano anche con traumi minimi o addirittura senza alcun trauma.

Già dagli anni ’90 gli studi avevano evidenziato un’alta frequenza di osteoporosi e fratture, soprattutto vertebrali, nei pazienti con cirrosi, con percentuali che variavano dal 12% al 55%. Tuttavia, quegli studi erano condotti su piccoli gruppi di pazienti e non riflettono più la realtà clinica attuale. Oggi infatti le persone arrivano al trapianto di fegato più avanti con l’età, con patologie diverse (meno epatiti virali, più malattie metaboliche come la steatoepatite non alcolica) e con altre malattie associate come diabete, ipertensione e obesità. Anche le terapie sono cambiate, così come i protocolli di gestione clinica.

Un altro elemento che complica le cose è che le fratture vertebrali, tipiche in questi pazienti, sono spesso asintomatiche e non vengono rilevate se non con esami specifici, il che porta a una forte sottostima del problema.

La fragilità ossea non è un dettaglio secondario, ma la conseguenza di un insieme di fattori che si intrecciano: malnutrizione, squilibri ormonali, infiammazione cronica e alterazioni del metabolismo osseo. Guido Zavatta, ricercatore dell’IRCCS Policlinico di Sant’Orsola spiega “il metabolismo osseo viene di solito messo in secondo piano, ma un trattamento mirato potrebbe ridurre le fratture. E quando si tratta di pazienti che già affrontano una condizione clinica complessa, con un elevato rischio di complicanze prima e dopo il trapianto, conoscere la relazione tra metabolismo osseo e fragilità ossea potrebbe migliorare la gestione e il follow-up post-trapianto”.

Per rispondere a questa esigenza, è fondamentale aggiornare le conoscenze con studi più ampi e moderni, capaci di riflettere la situazione clinica attuale e di offrire strumenti concreti per la prevenzione e gestione della fragilità ossea nei pazienti con malattia epatica avanzata. Lo studio condotto presso l’IRCCS Policlinico di Sant’Orsola di Bologna, pubblicato nel 2025 su Internal and Emergency Medicine, si inserisce proprio in questo contesto.

Le attuali strategie di prevenzione. Abbiamo oggi tanti strumenti diagnostici per fornire una stima personalizzata del rischio di frattura tramite la densitometria ossea del rachide e del femore (DEXA o MOC), la radiografia morfometrica della colonna vertebrale dorsale e lombare e gli esami del sangue e delle urine specifici del metabolismo osseo. 
In caso di eventuali anomalie riscontrate in corso di questi accertamenti è bene consultare lo specialista del metabolismo osseo.

Tuttavia, ancor prima di consultare lo specialista è importante ricordarsi di mantenere adeguati nel tempo i livelli di vitamina D nel sangue, obiettivo facilmente raggiungibile con i supplementi di vitamina D. Va garantito inoltre un apporto di calcio ottimale attraverso l’alimentazione secondo le raccomandazioni fornite dal Ministero della Salute.

Nuovi dati dal Sant’Orsola: come intervenire per migliorare il trattamento e la prevenzione.
Per la prima volta dall’inizio degli anni 2000 i ricercatori hanno utilizzato database e cartelle cliniche digitalizzate per ricostruire la situazione clinica dei pazienti e aggiornare le stime sulla prevalenza delle fratture ossee in pazienti con patologie croniche del fegato. Si tratta della più ampia analisi dedicata a valutare la prevalenza e le caratteristiche delle fratture da fragilità nei pazienti con problemi di fegato.

Lo studio ha analizzato retrospettivamente 429 pazienti sottoposti a trapianto di fegato tra il 2010 e il 2015. Dopo aver escluso i trapianti combinati, i re-trapianti, le epatiti fulminanti e i pazienti per i quali non erano presenti dati, il campione finale è stato di 366 pazienti. Tutti erano stati valutati con esami clinici, laboratoristici e radiologici secondo le linee guida pre-trapianto.

Le fratture vertebrali sono state ricercate revisionando le radiografie della colonna vertebrale e le TAC addominali effettuate da sei mesi prima fino al giorno del trapianto. 
Le fratture vertebrali individuate nelle immagini sono state classificate per gravità in lievi, moderate e severe e sono state escluse quelle dovute a forti traumi. Sono state inoltre raccolte informazioni sulle fratture cliniche, cioè quelle che avevano causato sintomi e portato il paziente a consultare un medico.

Oltre ai dati radiologici, sono stati registrati parametri biochimici (calcio, fosforo, magnesio, vitamina D, PTH, markers di turnover osseo) e informazioni cliniche (BMI, diabete, ipertensione, neoplasie, uso di corticosteroidi, età, sesso, eziologia della malattia epatica). In alcuni pazienti erano disponibili densitometrie ossee DXA, utilizzate per classificare lo stato osseo secondo i criteri dell’Organizzazione Mondiale di Sanità OMS (normale, osteopenia, osteoporosi).

I risultati hanno confermato una prevalenza allarmante di fratture da fragilità: il 42,3% dell'intera coorte (155 su 366 pazienti) presentava lesioni ossee al momento del trapianto. La maggioranza di queste fratture erano vertebrali (93,5%), soprattutto nelle vertebre toraciche (T7-T9 e T12), mentre le fratture femorali o in altre sedi periferiche risultavano rare. In molti casi la compromissione era estesa, il 41,3% dei pazienti con fratture presentava lesioni multiple. Un aspetto cruciale è che solo il 13,7% dei pazienti aveva fratture sintomatiche, indicando che la stragrande maggioranza delle lesioni era asintomatica e poteva quindi essere rilevata solo attraverso l'analisi radiologica sistematica. 

Il basso indice di massa corporea (BMI) è risultato l'unico fattore indipendente associato al rischio di fratture, con un aumento del rischio del 5,8% per ogni unità di BMI in meno. Questo dato conferma il ruolo chiave della malnutrizione e della sarcopenia (perdita di massa muscolare) nella fragilità ossea. Al contrario, la causa della malattia epatica cronica non influisce sul rischio di fratture ossee, questo diventa uniformemente alto in ogni caso suggerendo che è la patologia in sé il fattore determinante. Il fatto che le fratture siano simili indipendentemente dal tipo di malattia epatica indica infatti che è la cirrosi stessa, cioè la gravità della malattia del fegato, a danneggiare le ossa. Non sono state osservate differenze significative tra i sessi nella prevalenza complessiva, ma nelle donne le fratture tendevano a essere più gravi e correlate a una funzione renale peggiore, indicando la necessità di un monitoraggio più attento.

Lo studio,che rientra nelle rubrica “i Martedì della Ricerca”, dimostra che, nel quinquennio 2010-2015, tutti i pazienti in attesa di trapianto di fegato dovevano essere considerati ad alto rischio di fratture, indipendentemente dalla causa della malattia epatica. 
Sono già previste ulteriori analisi retrospettive, per il quinquennio successivo con l’obiettivo di arrivare ad avere dati sempre più aggiornati per creare programmi di screening sistematico e interventi terapeutici mirati. 

In conclusione, Guido Zavatta, ricercatore dell’IRCCS Policlinico di Sant’Orsola sottolinea "quasi la metà dei pazienti con malattie croniche del fegato presenta fratture vertebrali, spesso asintomatiche, evidenziando come la fragilità ossea sia un fattore critico da monitorare già prima del trapianto. Un’attenta valutazione e interventi mirati potrebbero ridurre le complicanze e migliorare la gestione clinica". 

Il lavoro, pubblicato sulla rivista Internal and Emergency Medicine, è frutto dello sforzo collettivo di tutto il team di ricerca guidato dal Prof. Uberto Pagotto direttore dell’unità operativa di Endocrinologia e prevenzione e cura del diabete diretta e dal Dott. Giovanni Vitale dell’unità operativa di Medicina interna per il trattamento delle gravi insufficienze d’Organo diretta dalla Prof.ssa Maria Cristina Morelli. È stato svolto in collaborazione con diverse unità dell’IRCCS Policlinico di Sant’Orsola: Programma Chirurgia addominale nell’insufficienza d’organo terminale e nei pazienti con trapianto d’organo diretta dal Prof. Matteo Ravaioli, Medicina interna, malattie epatobiliari e immunoallergologiche diretta dal Prof. Fabio Piscaglia, Chirurgia epatobiliare e dei trapianti diretta dal Prof. Matteo Cescon.