Trapianti di fegato: una storia lunga oltre trent’anni

02 Aprile 2023

Dai primi interventi pionieristici nel 1986 al record del 2022: l’IRCCS ha da poco tagliato il traguardo dei 2.500 trapianti di fegato. Ieri il convegno per esplorare risultati, tendenze e prospettive della materia.

Il raggiungimento della cifra tonda è l’occasione per ripercorrere un percorso che da sempre colloca il Sant’Orsola tra i centri di riferimento italiani e internazionali della materia. Tanto a livello di volumi di interventi effettuati quanto di ricerca e sperimentazione di nuove metodologie.

Il record del 2022. Nonostante le difficoltà legate alla pandemia, negli ultimi anni il numero dei trapianti è aumentato di circa il 20% rispetto al 2019, raggiungendo nel 2022 il record di 124 operazioni. Un dato che conferma l’IRCCS sul podio dei centri di riferimento italiani. E che è stato raggiunto grazie alla combinazione di due fattori. «L’aumento del numero di donatori è andato di pari passo con la nostra capacità di utilizzare le risorse disponibili in maniera sempre più ottimale» spiega il professor Matteo Cescon, direttore dell’unità operativa di Chirurgia Epatobiliare e dei Trapianti.

Il miglioramento di tecniche e tecnologie, infatti, ha permesso di utilizzare anche organi che un tempo sarebbero stati scartati e che tutt’oggi vengono rifiutati da altre strutture ospedaliere. «Il nostro indice di accettazione è superiore al 95%. In pratica, trapiantiamo quasi tutti i fegati che ci vengono offerti». Il tutto senza minare in alcun modo l’efficienza del trapianto e la qualità di vita del ricevente.

L’importanza della perfusione. Risultati che sono stati raggiunti soprattutto grazie alla perfusione ipotermica ossigenata, tecnica che consente di limitare i danni dell’organo prelevato a scopo di trapianto. «In sostanza – riprende Cescon – si tratta di ripristinare le riserve energetiche del fegato. È come se mettessimo a caricare un cellulare parzialmente scarico».

I passi in avanti compiuti nell’ambito delle tecnologie impiegate (proprio al Sant’Orsola sono stati sviluppati alcuni macchinari) hanno infatti portato un chiaro miglioramento della qualità degli organi trapiantati ma anche della logistica, allungando i tempi tra l’espianto e l’impianto fino a 12 ore.

Un altro aspetto, tutt’altro che secondario, è la possibilità di utilizzare in maniera crescente organi da donatori a cuore fermo, specie se si considera che la normativa italiana consente di prelevare l’organo soltanto dopo 20 minuti di completa inattività elettrica del cuore: una tempistica doppia rispetto alla maggior parte degli altri paesi.

«La perfusione degli organi, inoltre, ci permette di testare nuove metodologie (farmaci, cellule staminali o derivati cellulari) per migliorare ulteriormente la qualità delle cellule del fegato. In questo senso per ora abbiamo alcune esperienze preliminari assolutamente positive».

Le nuove indicazioni. Storicamente, per quanto riguarda l’applicazione del trapianto di fegato a pazienti affetti da tumori epatici, tale trattamento è riservato ai pazienti con epatocarcinoma. Bologna, in particolare, è uno dei principali centri al mondo tanto per la ricerca scientifica quanto per il trattamento multidisciplinare di questo tumore maligno.

Negli ultimi anni, però, l’affinamento delle tecniche, la modulazione dell’immunosoppressione e i moderni approcci chemio/radioterapici hanno permesso di allargare le indicazioni al trapianto di fegato anche a tumori primitivi diversi (come il colangiocarcinoma) e pure a neoplasie secondarie come le metastasi da tumore del colon-retto.

Più in generale, i pazienti hanno caratteristiche diverse rispetto al passato, con la drastica riduzione dell’impatto delle epatiti B e C, la costante sfida dell’epatocarcinoma, il drammatico incremento delle cirrosi ad origine dismetabolica e le insufficienze multi-organo. «La complessità dei pazienti  è aumentata molto e questo pone problematiche di approccio multidisciplinare. I centri di riferimento si devono infatti attrezzare di competenze che una volta non erano legate al trapianto».

Le sfide del futuro. «Negli anni a venire ci attendono sfide complesse e decisive», continua Cescon. A partire dalla minimizzazione dell’impatto della terapia immunosoppressiva «fino magari ad eliminare del tutto l’assunzione dei farmaci» con l’obiettivo di ridurre gli effetti collaterali dopo il trapianto.

Un altro importante capitolo di sviluppo è legato alla “bioingenierizzazione” di nuovi organi a partire da cellule staminali o addirittura da processi di modificazione genica su organi di origine animali. «Sono stati fatti passi avanti di una certa entità, ma l’Italia è ancora indietro. Stiamo comunque parlando di prospettive di diversi anni, che richiedono sviluppi tecnologici e pure un impegno economico non indifferente».

In attesa del futuro in cui sarà (forse) possibile fabbricare artificialmente gli organi azzerando il problema delle liste d’attesa, insomma, è ancora necessario massimizzare «in tutte le maniere possibili una risorsa che rimane abbastanza scarsa. Esattamente quello che al Sant’Orsola facciamo tutti i giorni».