Un fegato "nuovo" per combattere le recidive

13 Dicembre 2022

L’approccio di perfusione ipotermica ossigenata meccanica prima del trapianto di fegato porta ad una percentuale più bassa di recidive nei pazienti affetti da epatocarcinoma?

È la domanda a cui tenta di rispondere il progetto di ricerca del professor Matteo Ravaioli premiato dai fondi del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza. Uno studio multicentrico che ha nel Policlinico di Sant’Orsola il capofila e che coinvolge alcuni dei maggiori centri ospedalieri italiani di eccellenza nei trapianti di fegato (Pisa, Palermo e Torino). «I pazienti interessati da epatocarcinoma rappresentano una categoria molto importante e problematica, perché in molti casi la neoplasia maligna si ripresenta dopo il trapianto – spiega il responsabile del programma di Chirurgia addominale nell'insufficienza d'organo terminale e nei pazienti con trapianto d'organo dell’Irccs - Secondo i presupposti scientifici, però, se trattiamo l’organo in modo da ridurre le ischemie si dovrebbe abbassare la probabilità di ricomparsa del tumore»

Il progetto nasce nell’ambito dell’esperienza ormai decennale di recupero funzionale degli organi trapiantabili, ambito in cui l’équipe guidata dal professor Ravaioli ha assunto da tempo un ruolo pionieristico. In alcuni casi, infatti, gli organi provenienti dai donatori prima di essere utilizzati devono essere trattati con specifiche metodiche (come la perfusione ipotermica ossigenata, per l’appunto). In questo modo si amplia la platea degli organi potenzialmente trapiantabili: si stima che il loro numero sia aumentato di circa il 30% grazia alle innovazioni adottate nell’ultimo decennio. «A Bologna abbiamo adottato da tempo la perfusione ipotermica ossigenata, tecnica che consente di abbassare i tempi di ischemia e di migliorare i risultati dei trapianti – spiega Ravaioli – Sulla scorta di quest’esperienza ora vogliamo concentrarci sui pazienti affetti da tumore del fegato».