L'algoritmo della Fisica Sanitaria per il cosmo

09 Maggio 2023

La Fisica Sanitaria del Sant'Orsola lavora per individuare una “dose sicura” di radiazioni per astronauti e i visitatori dello spazio.

La quantità di radiazioni a cui sono sottoposti gli astronauti nello spazio varia tra la dose che un paziente riceve nel corso di una radiografia e una singola seduta di radioterapia: da 1 a 100 milligray. E allora perché non sfruttare le conoscenze acquisite nel corso del tempo dalla Fisica Sanitaria per comprendere meglio gli effetti dei diversi tipi di radiazione sul corpo umano?

Ma facciamo un piccolo passo indietro e cerchiamo prima di capire cosa sono e da cosa derivano le radiazioni nello spazio. Si tratta di flussi di ioni e protoni, ovvero particelle energetiche solari o raggi cosmici galattici provenienti dallo spazio profondo. Sulla Terra non sono pericolose, in quanto l'atmosfera e la magnetosfera terrestre formano uno scudo efficace, mentre rappresentano un rischio per la salute degli astronauti nello spazio.

Il tema è noto da tempo alla comunità scientifica. Già durante il programma Apollo (anni '60-'70), infatti, la preoccupazione per i possibili effetti dei raggi cosmici spingeva la NASA a limitare le tempistiche delle passeggiate lunari. Ora, all'alba di una nuova epoca d'oro dell'esplorazione spaziale, la questione si ripropone con ancora maggiore urgenza: quali sono gli effetti a breve e lungo termine dei raggi cosmici? E cosa possiamo fare per ridurli?

“Gli effetti collaterali della radiotossicità vanno dalle manifestazioni reversibili (ad esempio il cosiddetto 'flash eyes', che consiste nella visione di lampi di luce anche in un ambiente buio e deriva dagli effetti delle particelle sui nervi ottici) all'induzione di possibili patologie che si possono manifestare fino a distanza di venti-trent'anni”, spiega Lidia Strigari, direttrice dell'Unità Operativa di Fisica Sanitaria dell'IRCCS Sant'Orsola. “Il problema è che nello spazio finora sono andate soltanto circa 600 persone: un campione non sufficientemente ampio per produrre una mole di dati significativa a comprendere i danni delle radiazioni sulla popolazione generale, che in un futuro potrebbe visitare o colonizzare lo spazio”.

Da qui, l'idea: visto che la dose di radiazioni galattiche è comparabile a quella gestita nel campo della Radiologia e della Radioterapia, perché non sfruttare le conoscenze acquisite in tanti anni di pratica clinica? Perché non utilizzare i dati raccolti nello spazio dall’Alpha Magnetic Spectrometer (AMS), ovvero un esperimento installato sulla Stazione Spaziale Internazionale che misura con grande accuratezza la composizione e l'energia dei raggi cosmici dal 2011 per stimare gli effetti collaterali?

“Negli anni abbiamo definito alcuni algoritmi per prevedere gli effetti collaterali dati dall'esposizione a determinate dosi di radiazioni, in modo da rendere più sicure diagnosi e terapie – racconta in merito Strigari – Ora vorremmo traslare questi modelli alle radiazioni spaziali. Negli studi che abbiamo pubblicato in collaborazione con il gruppo AMS della sezione di Roma Sapienza dell'Istituto Nazionale di Fisica Nucleare viene applicata questa simmetria con lo scopo di individuare una 'dose sicura' a cui gli astronauti e i visitatori dello spazio si potranno sottoporre senza produrre effetti collaterali rilevanti. La ricerca è avviata ma si consoliderà solo nei prossimi anni: in futuro queste  informazioni potranno essere impiegate nella progettazione di alloggi sicuri e più in generale nell'implementazione di strategie che possano prevenire o ridurre  i possibili effetti a breve e lungo termine legati al tempo di permanenza nello spazio”.