Un team dell’IRCCS Policlinico di Sant’Orsola ha collaborato ad un progetto di ricerca internazionale dedicato alla leucemia mieloide acuta con localizzazioni extramidollari, scoprendo un modo per rallentare almeno temporaneamente la progressione della malattia. I risultati dello studio, che approfondiamo oggi in questo nuovo “Martedì della Ricerca”, sono stati pubblicati sulla prestigiosa rivista “Haematologica”.
La leucemia extramidollare. La leucemia è una malattia che origina nel midollo osseo, la cosiddetta “fabbrica del sangue”: un tessuto liquido e spugnoso che si trova all’interno delle ossa ed è responsabile della produzione delle cellule del sangue. In casi rari, tuttavia, la malattia può uscire da questa sede naturale e diffondersi in altre parti del corpo, come la milza, il fegato, i linfonodi, l’apparato digerente, in linea teorica in qualunque altro organo. Quando la leucemia si estende al di fuori del midollo osseo prende il nome di malattia extramidollare (EMD). Questa condizione comporta in genere una prognosi più sfavorevole, perché i farmaci che abbiamo a disposizione raggiungono con maggiore difficoltà queste localizzazioni extramidollari e faticano quindi a eliminarle del tutto.
Ad oggi i pazienti con leucemia mieloide acuta (AML) e leucemia extramidollare vengono trattati principalmente con trattamenti chemioterapici, in attesa di essere indirizzati (quando possibile) ad un trapianto di cellule staminali.
La chemioterapia può dare buoni risultati ma non sempre è ben tollerata, soprattutto da persone più anziane o con altre malattie concomitanti. Negli ultimi anni, però, la ricerca ha portato allo sviluppo di un approccio diverso che punta ad agire in modo mirato sui meccanismi di sopravvivenza delle cellule leucemiche. Si tratta della combinazione tra un inibitore della proteina BCL-2 (una proteina che impedisce alle cellule malate di morire) e agenti ipometilanti come azacitidina o decitabina (farmaci che riattivano geni “silenziosi” e rendono le cellule tumorali più vulnerabili alle terapie). Questa combinazione ha già cambiato lo standard di cura nei pazienti più anziani o fragili con leucemia mieloide acuta. Fino ad ora, però, la sua efficacia non era ancora stata testata nei casi con localizzazioni extramidollari, che rappresentano tutt’ora una delle sfide più complesse in ematologia.
Lo studio pubblicato sulla rivista “Haematologica”, tra le più autorevoli al mondo nel campo delle malattie del sangue, ha verificato proprio questa opzione.
Gli esiti del trattamento combinato in pazienti con malattia extramidollare. I ricercatori hanno raccolto i dati di 46 pazienti adulti, di età compresa tra i 19 e gli 81 anni, seguiti in diversi centri in Italia, Germania, Danimarca e Stati Uniti. I casi studiati erano molto eterogenei: alcuni pazienti presentavano la malattia all’esordio, altri erano in ricaduta dopo una prima remissione, e molti avevano una forma refrattaria, cioè una leucemia che non aveva risposto alle terapie precedenti.
In diversi casi la leucemia interessava sia il midollo osseo sia sedi extramidollari. Questo aspetto è importante, perché la presenza simultanea in più sedi rende il controllo della malattia più difficile.
Un ulteriore elemento di complessità riguardava la genetica: la maggior parte dei pazienti mostrava alterazioni genetiche ad alto rischio, secondo la classificazione europea (European LeukemiaNet). Tra queste figuravano mutazioni di geni, associate a una prognosi particolarmente sfavorevole, e cariotipi complessi, cioè anomalie cromosomiche multiple che rendono la malattia più resistente alle cure.
Tutti i pazienti inclusi nello studio sono stati trattati con la combinazione di inibitore di BCL-2 e agente ipometilante, seguiti poi nel tempo per valutare la risposta clinica, la durata della remissione e la sopravvivenza complessiva. Il trattamento prevedeva dei cicli mensili di somministrazione di azacitidina, tramite un’iniezione sotto cute per sette giorni consecutivi, e l’assunzione continuativa per via orale di un inibitore di BLC-2, con una pausa di una settimana tra un ciclo e l’altro.
I risultati hanno mostrato che la combinazione dei due principi attivi consente di ottenere risposte cliniche anche in pazienti con una forma leucemia mieloide acuta extramidollare, soprattutto in quelli trattati in prima linea, cioè alla diagnosi. In questo gruppo, circa due pazienti su tre (64%) hanno risposto positivamente al trattamento. Tra i pazienti refrattari o in ricaduta, una risposta positiva è stata osservata in circa quattro pazienti su dieci (43%). Un altro 11% ha ottenuto una risposta parziale, con una riduzione di almeno la metà delle lesioni extramidollari visibili agli esami radiologici.
Tra i pazienti che hanno ricevuto la terapia nelle prime fasi della malattia, circa la metà ha continuato a mostrare segni di risposta anche a otto mesi di distanza dall’inizio del trattamento. Nei pazienti che hanno iniziato il trattamento in fasi più avanzate della malattia, invece, il trattamento si è dimostrato efficace per un lasso di tempo inferiore.
Ciononostante, i dati rappresentano un risultato incoraggiante in un gruppo di pazienti ad altissimo rischio, molti dei quali fragili o già trattati senza successo con altre terapie. “Questo trattamento è una nuova opzione di trattamento per la leucemia mieloide acuta extramidollare – spiega Cristina Papayannidis, ricercatrice dell’IRCCS Policlinico di Sant’Orsola - i mesi di vita guadagnati grazie a questa associazione di farmaci potrebbero consentire di organizzare e avviare il paziente al trapianto allogenico, se è in grado di sostenerlo, che rimane a oggi l’unica possibilità di cura potenzialmente definitiva.”
Questa ricerca nasce con l’intento di dare un’indicazione pratica per i clinici nella gestione dei pazienti con localizzazioni extramidollari, e apre la strada a studi più ampi. Le prospettive prevedono di ampliare il numero di casi analizzati e di continuare a ricercare come rendere la risposta più duratura e migliorare ulteriormente la sopravvivenza.
Lo studio è il risultato di una collaborazione internazionale tra centri di eccellenza nel campo dell’ematologia che ha visto coinvolta l’Unita Operativa di Ematologia dell’IRCCS, diretta dal Prof. Pier Luigi Zinzani in collaborazione con la Prof.ssa Sabine Keyser dell’Università di Heidelberg e dei partner della rete europea di ricerca sulle leucemie acute.



